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giovedì 22 settembre 2011

USA, la grande truffa del poker online


I gestori di uno dei maggiori portali dedicati al gioco d'azzardo finisce nelle grinfie del Dipartimento di Giustizia. D'accordo con alcuni pokeristi professionisti, sarebbero riusciti ad intascarsi 440 milioni di dollari dalle giocate


Dichiarazioni schiaccianti , che hanno inchiodato le attività di gestione di una delle principali sale da poker virtuale in terra statunitense. I responsabili di Full Tilt avrebbero così messo in piedi una truffa a schema Ponzi, in un perverso meccanismo fraudolento in cui sempre nuove vittime vengono intrappolate in un flusso praticamente continuo di denaro per il gioco d'azzardo online.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha così scagliato accuse pesantissime nei confronti della piattaforma Full Tilt Poker, i cui gestori avrebbero sfruttato per scopi del tutto personali i soldi depositati dai giocatori. Oltretutto finanziando pokeristi affermati come Chris Ferguson e Rafael Furst.

Secondo le stime offerte dal procuratore di New York Preet Bharara, i proprietari di Full Tilt Poker sarebbero riusciti ad intascarsi oltre 440 milioni di dollari negli ultimi 4 anni. Facendo credere ai vari giocatori che i loro soldi fossero al sicuro in depositi online, che fosse possibile riconvertirli in denaro sonante in qualsiasi momento.


Alla fine dello scorso marzo, Full Tilt Poker doveva 390 milioni di dollari ai suoi giocatori. Ne erano disponibili solo 60. La statunitense Alderney Gambling Control Commission aveva sospeso la licenza della piattaforma, bloccando le attività di gioco. Il sito deve ancora 150 milioni di dollari ai soli utenti a stelle e strisce.

I nuovi dettagli del Dipartimento di Giustizia hanno aggravato e non poco la già delicata posizione di Full Tilt Poker. Il sito avrebbe infatti continuato ad accettare giocatori - e soprattutto i loro soldi - anche dopo il cosiddetto venerdì nero del 15 aprile scorso, quando i suoi fondatori erano stati accusati di frode bancaria e riciclaggio di denaro.

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